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giovedì 17 maggio 2012

Laogai

Quello che (non) ho 
imparato ...


                                           Quello che non ho

                di De André


LAOGAI

DEFINIT HW

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Laogai


di Chiara Tamanini

Il laogai cinese è uno dei sistemi carcerari più repressivi e disumani al mondo.
  Da un lato serve come mezzo di repressione e di riforma del pensiero (spesso questo significa “lavaggio del cervello”),
dall’altro garantisce un’immensa quantità di manodopera a costo zero che è fonte di ingenti profitti per il sistema carcerario e per il Partito Comunista Cinese (PCC).
I laogai sono almeno 1000, attivi e funzionanti. Sono campi di concentramento dove milioni di uomini, donne e bambini sono condannati ai lavori forzati.
Il termine “laogai” è un acronimo che in cinese significa “rieducazione attraverso il lavoro”: è impressionante quanto richiami la famosa scritta “Arbeit macht frei” che era posta all’entrata dei lagernazisti.

 In effetti, Mao Zedong inaugurò il sistema del laogai nel 1950, seguendo il modello leninista dei gulag, come aveva già fatto lo stesso Hitler nel 1932.
 I lager nazisti, però, furono chiusi nel 1945, e i gulag sovietici sono in disuso già dagli anni ’90; invece i laogai cinesi sono tuttora operanti: dalla loro apertura sono state incarcerate da 40 a 50 milioni di persone e almeno 20 milioni vi sono morti
  
Attualmente si ritiene che siano da 3 a 5 milioni i detenuti in questi campi;

il 40% dei prigionieri nei laogai sono condannati a più di cinque anni di prigione, all’ergastolo o alla morte:
 la maggior parte sconta il carcere duro e i lavori forzati pur essendo accusati di reati minori. Il governo in Cina ha infatti potere illimitato e può tenere sotto controllo e arrestare le persone indiscriminatamente e arbitrariamente. Il fatto che il lavoro forzato dei prigionieri assicuri guadagni di milioni di dollari crea incentivi a incarcerare un numero sempre crescente di individui, a prescindere dalla loro colpevolezza.
Ma chi sono i detenuti? Soprattutto dissidenti, ridefiniti nel 1997 “minaccia alla sicurezza dello Stato”; tra questi si colloca chi professa una qualsiasi religione o chi fa parte di una struttura associativa, sindacato o partito, al di là dei limiti e delle strutture concesse dal PCC; chi “disturba l’ordine pubblico”, chi naviga liberamente in internet, chi parla in pubblico di democrazia e di diritti umani, o ancora i “cinesi-fantasma”, persone che sono sfuggite alle stragi della politica del figlio unico, e che quindi non hanno un’identità anagrafica.
 
Perché questa realtà è così sconosciuta? Prima di tutto perché i laogai sono protetti dal segreto di stato, quindi è lo stesso governo cinese che censura e filtra le notizie. Infatti, appena il termine “laogai” ha cominciato a essere abbastanza noto all’estero, il governo cinese ha cambiato il nome di questi campi, definendoli genericamente “prigioni”.

 Per questo motivo anche gran parte della popolazione cinese è completamente all’oscuro di tali realtà.
Per cercare di diffondere nel mondo informazioni sulla dittatura cinese e sui laogai, nel 1992 l’attivista cinese, ora cittadino americano,  Harry Wu, ha fondato la Laogai Research Foundation. Harry Wu, nato a Shangai nel 1937, fu arrestato e rinchiuso in un laogai nel 1960 perché cattolico e perciò “controrivoluzionario”. Fu rilasciato nel 1979, diciannove anni dopo, e riuscì a emigrare negli Stati Uniti nel 1985. Successivamente fu di nuovo arrestato in Cina e rilasciato in seguito all’intervento del Congresso statunitense. Oggi tiene conferenze in tutto il mondo e scrive libri per rendere noto questo tema: recentemente è stato invitato anche a Trento, dove ha fatto un intervento sui laogai e sulla politica del figlio unico. Questo suo impegno lo ha portato a estendere la sua rete di conoscenze, che si sta rivelando utile alla causa che perora. Di riflesso, anche la sua fondazione è diventata un punto di riferimento per la difesa dei diritti della popolazione cinese.

 La Laogai Research Foundation ha raccolto testimonianze da ex detenuti e documentato le condizioni di lavoro assolutamente disumane. Ad esempio, i detenuti devono scavare in miniere di amianto senza alcuna attrezzatura di protezione, altri, invece, maneggiano acidi corrosivi senza guanti.
 In nome del massimo profitto non solo i prigionieri lavorano in modo da mettere in pericolo la loro vita, ma spesso, sempre secondo questa associazione, “rendono i prodotti stessi insicuri, pericolosi, di bassa qualità o addirittura letali”.
Il problema è che essi vengono poi consumati da civili, sia cinesi che occidentali. Infatti, i laogai hanno spesso due nomi: uno è quello della prigione, uno dell’impresa per presentarsi sui mercati internazionali e stabilire rapporti con partner commerciali esattamente come una qualsiasi società di capitali.
Come si può immaginare, il tasso di mortalità in questi campi di concentramento è altissimo:

secondo un’inchiesta condotta dalle Nazioni Unite, i prigionieri muoiono specialmente in seguito alle torture alle quali sono sottoposti, oppure a causa di suicidi o ancora per “incidenti” non accertati.
 
Pur avendo la Cina ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura già nel 1988 e sebbene sia stata più volte chiamata a dare spiegazioni davanti agli organi competenti dell’ONU, ancora oggi continuano le denunce di diverse associazioni umanitarie per gli abusi commessi durante gli interrogatori.

La Laogai Research Foundation Italia è impegnata in una campagna di informazione su questi campi di concentramento.

 Attualmente si batte contro il problema del lavoro forzato dei laogai e dei laboratori clandestini in Italia.
Per questo è stata presentata in Parlamento una proposta di legge bi-partisan contro l’importazione e il traffico dei prodotti del lavoro forzato.


DEFINIT HW

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Quello che (non) ho ...
"laogai" è parola  letta da Herry Wu
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